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La memoria del trauma
I traumi rimangono impressi
La parola trauma ha due significati, uno indicante una lesione prodotta nell’organismo da un agente esterno con un’azione improvvisa e rapidissima, l’altro che indica un evento negativo, che incide sulla persona e la disorienta.
Molte persone soffrono di dolori più o meno cronici in seguito ad aver subito traumi fisici, si pensi ad esempio al frequentissimo colpo di frusta: frequentemente pone chi lo subisce nella condizione di dover fare molta attenzione al proprio collo, ad esempio non esponendolo all’aria, e a non fare movimenti bruschi.
Perché il dolore persiste? Se si trattasse di una semplice lesione, sarebbe sufficiente un tempo di recupero stabilito per rimettersi in sesto. Invece in seguito ai traumi il corpo continua ad inviare segnali di sforzo e dolore, e spesso sembra che sia impossibile tornare come prima.
Pensando al “significato” che il trauma può avere per l’organismo, mi è stato possibile comprenderne alcuni aspetti:
– il trauma è un evento improvviso, quindi assolutamente inaspettato
– il trauma ha messo a dura prova la nostra struttura, la quale ha dovuto attivare difese straordinarie per proteggersi nel tentativo di evitare dei danni seri o delle fratture.
– il corpo continua ad avere paura del trauma, non vuole più che ricapiti, e continua a difendersi da esso.
Lo shock è stato tale che le parti coinvolte nel trauma sono rimaste “allarmate”. Proviamo a comprenderlo meglio con un esempio, una storia di successo.
F. è una ragazza di 30 anni, dotata di una forza notevole, abituata ai lavori manuali, molto sportiva.
Si è presentata nel mio studio qualche mese fa lamentando dolori cronici alle spalle e alla parte superiore del torace. Dopo le prime lezioni di Integrazione Funzionale, abbiamo assistito insieme ad un miglioramento nell’utilizzo globale del corpo, senza però la sensazione di essere arrivati al cuore del problema. In quel momento ci siamo accorti che per F. non era possibile flettersi lateralmente verso sinistra senza provare un dolore alla schiena estremamente intenso.
Indagando sulla sua storia, è emerso che 12 anni prima aveva provato a trasportare un grosso peso (quasi 100kg!) in compagnia di un’altra persona, la quale, a metà tragitto, aveva di colpo abbandonato il carico lasciandolo gravare tutto e d’improvviso, sulla schiena di F.
Il carico era appoggiato sulla spalla sinistra e lei, per evitare di farlo cadere rovinosamente, si era piegata lateralmente lentamente (!) verso sinistra, per adagiarlo sul terreno.
Questo sforzo le procurò un dolore che la costrinse a stare a letto per quasi una settimana, e ad avere forti ripercussioni per tutto il mese successivo. Dopodiché, era riuscita a riprendere le sue regolari attività, dimenticandosi dell’incidente.
Immaginiamo la situazione: il carico si trova appoggiato sulla spalla sinistra, d’improvviso il peso aumenta e la schiena si flette lateralmente verso sinistra. Il peso è tale che lasciato a se stesso, sarebbe in grado di provocare seri danni alla schiena. Il corpo allora cosa fa? Attiva tutti i flessori laterali del lato opposto, cioè il destro, per fare tenuta ed evitare che la schiena si pieghi rovinosamente verso sinistra.
A 12 anni di distanza quindi il corpo portava memoria di quell’evento e per F. non era purtroppo possibile flettersi lateralmente verso sinistra senza provare un dolore molto intenso. La flessione verso destra invece le risultava molto agile. Motivo? Il lato destro, durante questi 12 anni, ha continuato a “tenere”, chiudendo, cioè avvicinando le costole del lato destro all’ala destra del bacino, per continuare a proteggersi dal trauma. F. si trovava già in uno schema di parziale flessione, e quindi il movimento opposto, cioè di accorciamento del lato sinistro e di allungamento del lato destro, le risultava impossibile. Perché si trattava di un movimento che richiedeva alla parte “chiusa” di “aprirsi”.
Nelle lezioni di Integrazione Funzionale successive è stato possibile uscire da questo schema di protezione per ritrovare una mobilità ormai quasi dimenticata.