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Il caso di N.
Una caviglia dolorante
N. è una ragazza giovane e sportiva che lamenta un dolore alla caviglia sinistra. Ha subito infatti una distorsione una settimana prima di vedermi, durante un allenamento.
Come consuetudine le chiedo se è una novità per lei avere fastidi alla caviglia o prendere storte, e se ha avuto infortuni in passato ad una delle articolazioni delle due gambe. Mi dice di no e che è la prima volta che si fa male.
Il primo approccio
Mentre inizio a lavorare, durante la prima lezione, le spiego che il mio approccio, non essendo terapeutico, punta a permettere alla muscolatura della caviglia di riorganizzarsi per ridurre quelle tensioni che come al solito irrigidiscono un’articolazione per proteggerla dai movimenti che richiamano il trauma subito, limitandone i movimenti.
Inoltre donare maggiore mobilità alla caviglia può rendere il recupero dal trauma più veloce e meno complicato.
Infine, migliorare l’appoggio del piede, ridurre le tensioni nelle dita, tra i metatarsi, sotto l’arco plantare, soprattutto per una persona che non ha mai ricevuto una lezione individuale, può essere una boccata d’ossigeno in grado di donare leggerezza a tutta la gamba.
L’idea generale che mi ha guidato durante la lezione è stata quella di permettere che N. potesse dare maggiore fiducia all’appoggio sulla gamba sinistra.
A fine lezione mi dice che non sente più dolore, siamo entrambi contenti, ma le consiglio di tornare almeno un’altra volta. Noto che l’appoggio di quel piede continua ad essere molto diverso dal destro, e le chiedo ancora una volta se ha mai avuto problemi di qualche sorta su quella gamba. Mi dice di no e mi saluta. Penso pertanto che sia un bene che il dolore sia rientrato, ma che non c’è stata la possibilità per imparare qualcosa affinché non le ricapiti…
Una caviglia preoccupata
La volta successiva si presenta dicendo che il dolore non è più tornato e che era contenta. La mia attenzione però continua ad essere catturata dall’atteggiamento della gamba sinistra nei confronti del pavimento: è come se volesse sottrarre un po’ di peso all’appoggio, come se non avesse totale fiducia in quella gamba. Il piede preme più verso l’esterno e spesso alleggerisce tutta la gamba, piegando leggermente il ginocchio. Sembra che voglia preservare quel piede dal carico dell’intero peso del corpo.
Glielo faccio notare. Commenta dicendomi che quando indossa i tacchi spesso sente che l’appoggio sul piede sinistro è più instabile, che rischia di sbandare verso l’esterno, come se fosse in bilico. Mi sembra perfettamente pertinente con ciò che vedo. E, a costo di sembrare pedante, le chiedo per la terza volta se è sicura di non aver avuto infortuni su quel lato, non necessariamente delle storte o delle cose gravi, anche dei tagli o dei colpi particolari potrebbero essere interessanti. D’improvviso si ricorda di una caduta fatta con la bici da piccola, più o meno quando aveva dieci anni. Un colpo strano: lì per lì non aveva avuto dolore, ma la botta aveva rimosso la pelle che ricopre la tibia e si vedeva l’osso. Dovette andare al pronto soccorso dove le diedero qualche punto mentre lei era perfettamente vigile e cosciente e poteva osservare il dottore che armeggiava con gli strumenti del mestiere. Mi ha detto che di tutta l’esperienza la parte più impressionante e difficile fu proprio quella di osservare e sopportare la cucitura.
Vitalità cicatrizzata
Dopodiché N. mi indica la cicatrice e si sdraia. Al tatto, la pelle in quella zona mi trasmette una sensazione di discontinuità, comincio a toccare la cicatrice pensando che è un’azione che si fa in molte discipline che assomigliano alla mia. Il mio intento non è quello di “trattare” la zona ma, come sempre, di dare informazioni al sistema nervoso. Lì sembra esserci qualcosa di rilevante, qualcosa che attiva o indica un comportamento particolare. Vorrei semplicemente far riconoscere al sistema nervoso quel comportamento per permettergli di decidere se continuare ad attivarlo oppure no.
A volte N. sente delle scosse in tutta la zona inferiore della gamba, dei bruciori nella cicatrice, dei dolori intensi che durano un paio di secondi, e ogni tanto irrigidisce l’intera gamba in maniera molto evidente. Mi sembra che il suo modo di contrarla sia un’esagerazione di ciò che fa costantemente senza accorgersene, e che ora sia così visibile perché è più chiaro il fastidio da cui, a mio avviso, si sta difendendo.
Come spesso succede io mi muovo nel campo delle supposizioni, secondo l’affascinante Metodo che studio e propongo non ci sono protocolli. La reazione di N. alla sua esperienza è qualcosa che solo lei poteva mettere in atto e nessun altro, il suo modo di irrigidire la gamba è un comportamento originale che merita un approccio originale. Nessuno, tra l’altro, mi ha mai insegnato a interagire con le cicatrici e praticando questo metodo talvolta noto che esistono tutta una gamma di sensazioni che sono quasi impossibili da definire. Potrebbe essere questa un’esperienza paragonabile a quella di chi vuole imparare l’arte del sommelier: quando il mio palato inesperto assaggia un vino mi accorgo che posso distinguere poche ed evidenti sensazioni del gusto. Ma un abile sommelier mi potrebbe guidare alla scoperta di numerosissime sensazioni con cui semplicemente non ho dimestichezza e che non so come distinguere e definire. Sono sensazioni presenti ma di cui non ho consapevolezza.
Similmente mentre lavoro con qualcuno a volte sento che ciò che sto facendo ha senso anche se è qualcosa che non ho mai fatto prima, e cerco di dare risalto alle sensazioni che ricevo, perché sono convinto che tra me e l’allievo avvenga un dialogo.
Un esito imprevisto ed uno desiderato
Durante la lezione il dolore alla caviglia torna a farsi sentire. Io continuo a lavorare con la zona della cicatrice e solo alla fine torno a sentire come si muove la caviglia. Cerco inoltre di collegare la sua tendenza ad appoggiare l’esterno del piede con quanto osservato fino a quel momento nei riguardi della vecchia ferita che si trova un palmo di mano sopra al malleolo interno.
La lezione finisce con un sapore estremamente differente rispetto alla volta precedente: la caviglia fa parecchio male, anche a riposo. Per quanto sia un risultato spiacevole, le dico che molto probabilmente questa sensazione durerà qualche ora, e di aggiornarmi per favore la sera o il giorno dopo.
Il giorno dopo arriva il desiderato messaggio: “il dolore alla caviglia è sparito!“. Mi rallegro e le chiedo se sente che è cambiato qualcosa anche nell’appoggio del piede. Mi risponde che è “decisamente cambiato” così come è cambiata “la mia percezione di come lo appoggio, come se prima non riuscissi a percepirlo“.
Bene, sembra ci sia una caviglia più contenta in città… sarà già pronta per la prova del tacco? : )