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Alla ricerca delle cause del dolore
La precisione del dolore
“Lì è dove mi fa male. Anzi non proprio lì, tre millimetri più su Adesso appena appena un po’ più a destra. Ecco, è proprio lì”
Mi capita spesso di sentire indicazioni come questa. E ogni volta mi sorprende notare come possiamo essere estremamente abili nel conoscere e circoscrivere le sensazioni sgradevoli o di dolore.
Del dolore si tende a conoscere ogni cosa legata alla sua manifestazione. C’è chi sa dire le ore in cui si intensifica, o le circostanze esterne che lo favoriscono. Alcuni ne parlano anche con mistero o imbarazzo quando notano che a volte può scomparire e “spostarsi” altrove, o ricomparire in maniera apparentemente slegata da quanto si è compreso finora.
Logicamente, chi ha dolore in un punto che può localizzare in maniera estremamente precisa, quando si rivolge a qualcuno a cui vorrebbe affidare la risoluzione o l’alleviamento del dolore, si aspetta che questo “esperto” instauri un dialogo personalissimo con quel dolore, e con la zona che fa male e che dedichi attenzione quasi solo a questa.
Per alleggerire queste aspettative solitamente dico: “questa zona in cui hai male la conosci fin troppo bene”.
So bene che manipolarla infonderebbe piacere, ma a mio avviso è il piacere simile che dà l’analgesico: allevia il dolore e non interagisce con la causa. Tuttavia, è un sollievo la cui importanza non è da da sottovalutare e che non voglio risparmiare alla persona.
Il pregiudizio del dolore
Se la causa del dolore fosse esattamente dove sentiamo dolore, allora probabilmente non avremmo bisogno di aiuto per “risolverlo”, o integrarlo, perché sapremmo già tutto; non servirebbe cioè rivolgersi a qualcuno capace di vedere le cose in un modo a noi ancora non accessibile.
Pensiamo alla colonna vertebrale: ci sono delle zone cieche della nostra struttura che non sappiamo di avere e che non percepiamo, e di conseguenza non muoviamo.
Lì è dove molto spesso si nascondono profondamente degli atteggiamenti di tenuta che possono procurare altrove un dolore di riassestamento o compensazione.
Chi ha male si accanisce sempre sulla parte dolorante, a volte la incolpa persino o gli dirige degli improperi. Sostiene che lì e solo lì ci sia qualcosa che non va, che va sistemata e tutto funzionerà a meraviglia.
Tanto dolore = tanto lavoro
Probabilmente invece la zona dolorante è sovraccarica di lavoro. In un certo senso sta facendo il massimo che le è concesso, nel gioco di equilibri in cui non può fare più di quanto le è possibile.
Bisogna vedere se da qualche altra parte ci sono delle zone che vengono tenute immobili, che non partecipano ai movimenti e alla distribuzione del lavoro. Sono per certi versi addormentate e occorre risvegliarle; così facendo la zona dolorante potrà lavorare di meno e quindi alleggerirsi.
I punti dolenti non ne possono più di sopperire al lavoro “straordinario”, e inviano segnali di stress e dolore[1].
Le resistenze primarie
Perché quindi alcune parti di noi non partecipano al movimento e al lavoro a discapito di altre? Non sempre è importante stabilire il motivo per ritrovare sollievo: è perché stanno difendendo la struttura da un trauma subito in passato? O perché in origine renderle immobili infondeva una sensazione di sicurezza e controllo? È una conseguenza delle abitudini di movimento e stasi?
Quali che siano le risposte, se il sistema nervoso è organizzato in maniera da tenere attive certe resistenze muscolari, significa che al momento questa è la soluzione migliore al netto di tutto ciò che condiziona e ha condizionato i nostri comportamenti. Potrà imparare a fare diversamente quando gli sarà possibile fare esperienza di alternative più vantaggiose.
L’Integrazione Funzionale
Nessuno ha consapevolezza delle proprie resistenze muscolari perché queste vengono prese in carico da regioni remote del sistema nervoso. I collegamenti tra resistenze muscolari e dolori cronici sono insospettabili, e per questo c’è bisogno di un intervento esterno per creare qualche variazione nel circolo vizioso del dolore cronico e trovare sollievo.
Il dr. Feldenkrais parlava di “illuminazioni” riferendosi alle prese di consapevolezza delle resistenze muscolari: una volta che emergono alla nostra attenzione, in un certo senso nulla è come prima.
Il lavoro di Integrazione Funzionale da lui ideato ha proprio l’obiettivo di integrare nei movimenti funzionali di base tutte le parti di sé che possono parteciparvi, senza lasciarne alcune in disparte o immobili.
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ps: questo breve scritto non intende proporre il Metodo Feldenkrais come alternativa ai percorsi terapici. Il Metodo Feldenkrais lavora nel campo dell’apprendimento e pertanto si propone di dare un punto di vista anche in materia di dolore cronico articolare sotto un’ottica funzionale e di apprendimento dell’utilizzo del sistema muscolo-scheletrico.
[1] – Teniamo presente che le cellule muscolari sono le ultime a stancarsi, prima si stancano quelle di comunicazione tra le cellule del cervello e quelle dei muscoli, e prima di tutte quelle nel cervello. Il dolore cronico non è solo un difetto che può essere messo a posto, dal punto di vista del sistema nervoso è quasi come un incendio che si propaga su più livelli.
You wrote beautifully and clearly, thank you!! I’m interested in hearing about functional integration
Hi Efrat! I am very glad you managed to read and enjoy this content, I am slowly organising a translation of the whole website but I don’t know how long it will take. If you live near Turin feel free to contact me to find out about Functional Integration. If, on the other hand, you live far away, I suggest you to look for a Feldenkrais practitioner in your area : )
Thank you!