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Un tocco rivoluzionario
Qualche settimana fa sono andato da un medico specialista che ad un certo punto della visita ha voluto toccarmi la schiena.
Ho pensato, forse per deformazione professionale, con stupore: “allora esistono ancora medici che usano anche il tocco come strumento di diagnosi“. Era infatti da anni che non mi capitava: le visite a cui sono abituato consistono solitamente in uno scambio di informazioni, di consigli, di indicazioni e di prescrizioni che avviene con medico e paziente seduti rispettivamente ai propri posti, con una scrivania che li separa.
(Questo non significa che io ritenga che un buon medico per essere tale debba anche toccare il paziente. Semplicemente constato quella che nella mia esperienza è una semplice evidenza.)
Tornando al medico, decide di tastare la zona del romboide destro, tra la colonna vertebrale e la scapola destra, con un tocco talmente pesante al cui confronto quello di un idraulico alle prese con una tubatura incastrata mi sarebbe sembrato una carezza.
Non mi ha fatto male, per carità, e il tocco è servito al suo scopo, a quanto pare. Ma ciò mi ha permesso di riflettere sul fatto che anche uno specialista molto famoso, e con lui tanti altri, toccano il corpo dei propri pazienti come se fosse un vecchio asse di legno un po’ malandato.
E in questione non c’è solo il tocco degli altri: quante volte ci siamo “massaggiati” da soli un muscolo dolente trattandolo quasi come se appartenesse a qualcun altro? Spesso lamentiamo un dolore ad un muscolo che percepiamo come se non fosse una parte di noi, come se fosse un meccanismo inceppato di una macchina che non conosciamo affatto.
Gli studi di neuroscienze condotti negli ultimi 40 anni ci parlano non tanto e non solo di connessione mente-corpo, ma del fatto che mente e corpo siano una unità unica, e pertanto perché non comportarci di conseguenza?
Il Metodo Feldenkrais si occupa del corpo con un’attenzione rivoluzionaria: se nota delle curve poco fisiologiche, non le “raddrizza”, non dà giudizi. Il tocco Feldenkrais ha l’obiettivo di instaurare un dialogo con il sistema nervoso che organizza il movimento, non è intenzionato ad aggiustare il corpo come se fosse un macchina che funziona male. Non è il tocco di un meccanico, o di uno scrocchiaossa.
Il tocco di un insegnante Feldenkrais punta a far notare al sistema nervoso come questi si organizza ed interagisce con lo spazio, affinché lui stesso elabori delle organizzazioni migliori. È un tocco che chiede sempre permesso, che non forza, ma che invita a cambiare.
Seguitemi con un esempio apparentemente sconnesso: uno psicologo non direbbe mai ad un suo cliente “vedi di riprenderti” o “adesso basta” o “sei una frana”; non dà ordini, tantomeno giudizi o sentenze.
Data l’identità mente-corpo, il Metodo Feldenkrais ha nei confronti del corpo gli stessi riguardi, le stesse premure, analoghe attenzioni.
I cambiamenti che avvengono sono sottili ma fortemente liberatori, la persona che li vive arricchisce il proprio “vocabolario propriocettivo”, e spesso quando si alza dal lettino si sente “diversa”, provando anche stati d’animo nuovi, e constandando che alcuni altri stati d’animo, più depressi o ansiosi, in quel momento sembrano incompatibili con lo stato di corpo-mente che stanno sperimentando.