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Sbloccare vs Apprendere
La caviglia “bloccata”
Ho conosciuto una persona che voleva scoprire se il Metodo Feldenkrais potesse aiutarla per il suo fastidio al ginocchio sinistro che si portava dietro da anni, tra alti e bassi.
Quando ha notato che dedicavo attenzione a come usa i piedi mentre sta ferma o cammina, mi ha riferito che uno specialista da cui andava periodicamente gli diceva che aveva la caviglia “bloccata” e che il ginocchio gli faceva male per via di una serie di scompensi tra cui questo della caviglia era il più importante.
Ogni tanto andava a farsi “rimettere in sesto” e per qualche giorno sentiva la caviglia diversa e il ginocchio effettivamente più leggero.
Questa idea che alcune parti del nostro sistema muscolo-scheletrico siano “bloccate” e che ci sia bisogno di qualcuno che le sblocchi per stare meglio ha permeato il nostro modo di approcciare al corpo e al movimento. È probabile ovviamente che questo modo di vedere dia i suoi frutti, e che molte persone che ricevono trattamenti basati su questo approccio si trovino benissimo.
È verosimile tuttavia che per alcune persone non siano risolutivi, e questo probabilmente avviene perché chi riceve la “aggiustata” non impara molto dall’esperienza, non comprende i motivi per cui ritorna nello schema da “correggere”, e talvolta non ha gli strumenti per migliorare il proprio modo di muoversi e ridurre i cosiddetti scompensi.
Cosa significa quindi che un’articolazione è bloccata? Di solito chi usa questa espressione intende che almeno una direzione di movimento è limitata. Nel caso in questione la caviglia era limitata in flessione dorsale.
Cosa significa?
Molte persone che incontro hanno una caviglia più limitata dell’altra nel movimento di flessione dorsale. Come si vede dall’immagine (che rappresenta un’esagerazione, la differenza quando c’è può essere minima), talvolta rimane una eco di questa preferenza anche se ci si sdraia a pancia in su con uno spessore dietro alle ginocchia e uno dietro alle caviglie. Il piede più “disteso” è quello che fa più fatica a flettersi dorsalmente.
Il dr. Feldenkrais mi ha insegnato che la funzione modifica la struttura. Quindi davanti a questa caratteristica provo a non chiedermi cosa si può fare per “sbloccare” l’articolazione, ma cerco di inserirmi in un’ottica di apprendimento.
Cosa sta facendo quella caviglia? Cosa la persona ha bisogno di imparare per uscire da questo schema?
Riguardo la prima domanda, la caviglia sta distendendo un po’ il piede, quindi sta esercitando un’azione che coinvolge soprattutto il polpaccio. A cosa serve questo movimento di distensione (flessione plantare) della caviglia?
Dove lo ritroviamo?
Siamo creature che hanno la straordinaria capacità di reggersi su due sole gambe, con un baricentro basso e un equilibrio instabile, a differenza di altri nostri compagni di vita del regno animale. Per giunta per conquistare la posizione bipede è necessario un lungo apprendistato di circa un anno, ed è una posizione che varia molto nel corso della nostra esistenza.
Data l’importanza di questa posizione per la nostra sopravvivenza, può diventare la cartina di tornasole del nostro miglioramento e davanti a qualsiasi “problema”. È utile insomma interrogarci su come interagisce con la nostra salute generale.
“Il problema non è la caduta, ma l’atterraggio”
Il movimento di flessione plantare, di spinta con la parte anteriore del piede che “distende” la caviglia, è il movimento tipico della propulsione nella camminata. È ciò che fa il piede che rimane indietro quando camminiamo.
Secondo questa semplificazione, che cosa fa invece l’altro piede, mentre quello indietro spinge? Atterra.
Le nostre gambe non sono delle stampelle che portiamo avanti in maniera alternata, sono delle strutture complesse e versatili, in grado di cambiare organizzazione a seconda della funzione di movimento in cui sono coinvolte.
Il movimento di propulsione crea una spinta a spirale verso la spalla opposta, genera compressione nelle articolazioni che trasmettono la spinta verso l’alto. Quindi c’è una compressione che attraversa il ginocchio, l’anca e la colonna e va su fino alla testa e alla spalla opposta in diagonale, con un movimento che dal basso assume una direzione di intra-rotazione e che fa invece aprire verso l’esterno la spalla opposta.
Se facessimo un fermo immagine in un momento di propulsione, troveremmo maggiore compressione, ad esempio nella parte interna del ginocchio, ed è importante che questa fase di propulsione-compressione passi e dia il cambio ad una fase più adatta ad atterrare.
L’atterraggio ha esigenze diverse dalla propulsione, esercita una forza verso l’esterno del corpo, estende la gamba e le sue articolazioni, respinge la compressione data dall’impatto col suolo con un movimento contrario di espansione che allinea le articolazioni nel miglior modo possibile per attutire l’urto col terreno. Una volta che una gamba attutisce l’impatto, può organizzarsi nuovamente per generare propulsione.
Il nostro sistema nervoso ha bisogno di alternare le funzioni di spinta e atterraggio da destra a sinistra, ma come abbiamo visto nell’immagine di sopra, nel nostro corpo può rimanere impressa una preferenza.
Anche i nostri piedi hanno preferenze
Preferenza: è questo il termine che propongo per sostituire l’espressione “blocco articolare”.
Tutti sviluppiamo preferenze, ma quando queste sono eccessive tolgono spazio alla versatilità che è necessaria per un movimento sano.
Una caviglia “bloccata” in flessione dorsale, cioè che non smette di spingere nemmeno se ci sdraiamo, creerà un atterraggio scompensato, perché atterrerà con l’allineamento scheletrico ideale per preparare la propulsione, e quindi, tornando al ginocchio, generando un sovraccarico nella parte mediale (interna) del ginocchio.
Probabilmente questa è la ragione del dolore al ginocchio della persona che mi ha suscitato queste riflessioni. Ad ogni passo, ad ogni atterraggio, la forza attraversava il ginocchio in maniera tale da provocare fastidio.
Cosa è utile apprendere
Quindi cosa ha bisogno di imparare chi vuole livellare questa preferenza e sperimentare maggiore versatilità?
Ad atterrare con quel piede la cui caviglia è stata ingenerosamente definita “bloccata” e di spingere con l’altro piede.
Alla fine di una delle prime sessioni di Integrazione Funzionale, quella persona mi ha riferito che stava provando una sensazione di grande comodità, leggerezza e distensione stando in piedi. Sentiva la diagonale dal piede sinistro alla spalla destra più distesa.
Si è accorta – lo ridico a parole mie – che in precedenza non stava in piedi su entrambe le gambe, ma con una si ergeva e con l’altra respingeva il terreno. Ha sentito la differenza di atteggiamento con i due lati nei confronti del pavimento, e ha imparato ad attutirla.
Non si trattava di una caviglia bloccata, ma di un sistema nervoso “bloccato” nella mancata alternanza di due funzioni complementari.
Questa esperienza di apprendimento, e la possibilità di sperimentare questa piccola ma significativa differenza, da sole sono bastate per ridurre drasticamente il fastidio al ginocchio, consentendo la possibilità di camminare senza dolore, e ci hanno indicato la direzione da seguire negli incontri successivi.