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La mia esperienza con il Metodo
Mi sono laureato in ingegneria nel 2009 e ho lavorato per 6 anni nel settore della creazione video.
Qualche anno dopo stavo vivendo una condizione di salute che comportava diverse limitazioni, e mi stavo rendendo conto dell’importanza dell’atteggiamento corporeo e della postura nell’equilibrio di ciò che consideravo salute. Mi ero accorto infatti, che le mie rigidità muscolari, aggravate dallo stress del periodo, rendevano faticose semplici attività di base come stare in piedi per più di cinque minuti o fare dei respiri profondi senza percepire dolori fulminanti lungo il tronco. Parlando di queste cose ad un caro amico, ricevo in risposta il libro Il corpo e il comportamento maturo di Moshe Feldenkrais, e il consiglio di provare il Metodo da questi ideato.
La mia esperienza è stata bellissima e, sebbene i cambiamenti siano stati graduali e spalmati nel tempo, considerarli tutti insieme per me ha dell’incredibile.
Ricordo bene che la notte dopo aver ricevuto la prima lezione di Integrazione Funzionale (nome che hanno gli incontri individuali con un insegnante Feldenkrais, dove il cliente è passivo e comodamente adagiato su un lettino, e cerca solo di imparare a non fare niente, mentre viene mosso dall’insegnante) mi sentivo estremamente comodo e rilassato, e questo stato per me “nuovo” mi faceva al tempo stesso sentire una sorta di risveglio fisiologico nell’addome, con sensazioni di calore, come se l’organismo potesse finalmente occuparsi un po’ di più di ciò che le tensioni muscolari non gli consentivano fino a quel momento. Ci vollero tante ore per prendere sonno, ma la cosa, stranamente, mi piacque.
Al termine di un incontro individuale è abitudine degli insegnanti Feldenkrais invitare l’allievo a notare delle differenze nel modo in cui si muove e in cui sta in piedi rispetto a prima e rispetto al solito: spesso si sentono le spalle più larghe, la schiena più dritta, la testa e il collo più leggeri, i piedi “ben piantati”…
Io non riuscivo a sentire niente di particolare, semplicemente mi sentivo più rilassato e tranquillo, e sarei voluto tornare il giorno dopo. I cambiamenti fisici anche se non li notavo c’erano: un’amica che non mi vedeva da un anno mi disse, dopo qualche mese di attività Feldenkrais, che mi vedeva più alto; però io non ero ancora in grado di percepire nulla di nuovo, non avevo ancora imparato ad ascoltare il corpo.
Tornavo dall’insegnante una volta alla settimana perché sentivo che ciò che ricevevo mi faceva stare bene, ma non sapevo ben argomentare la cosa. Mi accorgevo di stare meglio soprattutto riguardandomi indietro, come se i miglioramenti fossero cose acquisite silenziosamente, e già divenute naturali; non erano frutto di lavoro, o peggio di sforzo, o “risultati” sudati.
Ad un certo punto mi accorsi anche di un’altra importante cosa, e la dissi all’insegnante: “da quando vengo da te rido più spesso”. Era una cosa che mi avevano fatto notare i colleghi del lavoro di ufficio che facevo.
Contemporaneamente continuavo a leggere i libri di Moshe Feldenkrais, imparando a stimarlo come uno di quei geni che nascono una volta almeno ogni 50 anni. Arrivato al terzo libro, quello meno analitico e più intuitivo, dall’enigmatico titolo “L’io potente” (The Potent Self), pensavo incredulo di stare leggendo ciò che avrei sempre voluto sapere e che non sospettavo nemmeno potesse esistere. Le “risposte” e gli inviti all’approfondimento che ricevevo andavano al di là di quanto avrei osato chiedere. La visione sintetica di Feldenkrais fu illuminante.
Fu un passaggio naturale quello di voler entrare con tutto me stesso nell’apprendimento del Metodo, e dopo qualche mese presi parte ad una formazione quadriennale per diventare insegnanti del Metodo. Decisi di fare questo passo non primariamente per farne una professione, ma per approfondire la mia conoscenza del Metodo e la possibilità di applicarlo su di me.
All’inizio del corso erano molti i miei dolori, dalla schiena (nella parte lombare e nell’area tra le scapole e la colonna vertebrale) alla spalla destra, all’anca e al nervo sciatico sinistri. Insomma, ero tra i più giovani del corso ma mi sentivo da rottamare.
I quattro anni di formazione sono stati un percorso a ritroso, dove tutte le storture, le compulsioni posturali, le scomodità, sono inesorabilmente regredite fino a sparire. Ogni periodo di formazione mi dava l’impressione di rimettermi un po’ in vita e questo cammino nella strada della Consapevolezza Attraverso il Movimento è stato un processo di restituzione a me stesso, avvenuto un centimetro alla volta, in cui ho assistito a cambiamenti interiori ed esteriori che mi hanno molto toccato. Sono profondamente grato di aver fatto questo percorso.
Ora è tempo di rivolgermi agli altri: ho dialogato tanto con il dolore cronico, che da ospite ingombrante è diventato un compagno, certo un po’ difficile da sopportare. E piano piano addirittura si è tramutato in esigente maestro. Mi ha costretto a dedicare tutto me stesso per trovare strategie per diminuirne la presenza, mi ha guidato alla scoperta del mio scheletro, di come utilizzarlo in modi via via più comodi, imparando a sentirlo nei maggiori dettagli per me possibili e a sentirne le relazioni tra le parti, nei loro collegamenti funzionali.
La pratica del Metodo mi ha fatto sentire con la pelle che è proprio vero che non si smette mai di imparare, e sempre mi sentirò in apprendistato.
È stato utile ed affascinante percorrere questa strada anche perché nel Feldenkrais il lavoro su di sé si può trasferire agli altri: il passaggio da allievo ad insegnante è stato molto lento e graduale, e al tempo stesso estremamente spontaneo.
Ho iniziato il corso di formazione prevalentemente come investimento su me stesso, e l’ho terminato restituito al mondo – e al mondo del lavoro – con una preparazione professionale di alto livello che posso praticare in tutto il mondo, e l’intenzione di dedicare tutte le mie energie allo studio, alla professione e alla divulgazione del Metodo.