Diario di un corpo #7 – Camminare II

Camminare
Adesso fanno un passo…

La posizione eretta è una questione di instabilità. È un equilibrio precario in costante aggiustamento.
Ognuno degli esempi che ho citato sul modo di camminare in un post precedente, manifesta un tentativo per limitare questa precarietà. Qualcosa rimane fisso, stabile e sicuro; a scapito, però, di altre possibilità di movimento.
Quando l’atteggiamento corporeo è meno rigido e fisso, l’equilibrio è maggiormente instabile e in costante aggiustamento, una maggiore eleganza e leggerezza nei movimento è assicurata.(¹)

Non sappiamo se esiste una camminata al tempo stesso teoricamente “corretta” e realisticamente applicabile, ciò che possiamo fare è conoscere meglio il proprio modo di camminare, metterlo in discussione, osservarlo, e trovare dei modi via via più semplici, meno dispendiosi e più raffinati per muoverci.

Così ricordo i primi esperimenti che ho fatto sul tema, da proporre a chiunque abbia voglia:

Provate a trovare un modo di stare in piedi che non abbia le ginocchia né iper-estese, né troppo piegate. Cercate di trovare una relativa comodità, magari dopo aver fatto qualche saltello.

Poi sbilanciatevi in avanti, immaginando di avere un comodissimo materasso sul quale ci si può totalmente lasciare andare e cadere di faccia. Sporgetevi inizialmente come una torre pendente (senza piegarsi al centro come per fare un inchino, ma piegandosi alle caviglie), di poco e senza perdere la verticalità, per poi tornare alla posizione di partenza.
Fate un po’ di oscillazioni, lentamente.
Dopo almeno 4 o 5 lentissime oscillazioni provate a farne una più ampia: per non cadere sarà necessario portare un piede in avanti.
Ecco compiuto un passo nel modo più economico possibile?
Ora potete continuare a sbilanciarvi; e per non cadere, di nuovo sarà necessario portare l’altro piede davanti.(²)

Per rendere il tutto più umano e meno da equilibrista annoiato: una volta che un piede raccoglie il peso, poi può diventare un utile strumento di spinta nei confronti del pavimento. Immaginate di trascinare e far scorrere il pavimento indietro, come un tapis-roulant.
Al tempo stesso c’è da spingere delicatamente non solo all’indietro, ma anche contro il pavimento, verso il basso: per rimanere alti, regali.
Mentre si procede così, l’anca si “apre” davanti. Cioè quando il piede rimane indietro, e spinge, l’inguine si allunga. Le ginocchia non si distendono mai completamente.

Le gambe, come diceva il dr. Feldenkrais, sono come delle ruote che portano a spasso una parte superiore del corpo leggermente sbilanciata in avanti.

Può sembrare una forzatura coltivare intenzionalmente determinate immagini mentre si svolge un’attività tanto naturale come camminare.  Ed effettivamente lo è. Però è anche vero che ci muoviamo comunque secondo immagini di movimento, solo che tendenzialmente le abbiamo dimenticate e le diamo per scontate, e agiscono quindi inconsciamente. Quando si manifestano è sempre una bella scoperta. Quindi non basta darsi istruzioni e comandi, se non vengono trasformati in informazioni.

Per quanto quelle esposte siano indicazioni parziali, possono risultare interessanti.
Una curiosità: se propongo esplorazioni come queste prima di una lezione Feldenkrais, spesso sembrano quasi irricevibili e difficili da applicare. Dopo la lezione, invece, è tutta un’altra faccenda.

____

(1) Quando manteniamo fissa una parte di noi, questa cambia il rapporto che ha con le altre. Perde la funzione di collegamento, fa in misura minore da tramite. Diminuisce la sua possibilità di essere al servizio del movimento. Al contrario, sono le altre parti che devono riorganizzarsi in funzione di quella parte tenuta ferma.

(2) Quando ero ancora studente in formazione Feldenkrais, ricordo che durante una sorta di pellegrinaggio di 5 giorni che feci dalle parti di Rieti fino a Roma, con uno zaino piuttosto pesante per me, mi tornò per la prima volta utilissima questa idea di sbilanciarmi in avanti e poter sfruttare meglio l’inerzia del movimento. Lo zaino così non diventava più leggero, ma smetteva, per quanto possibile, di essere un fardello.

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