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Diario di un corpo #9 – La trance agonistica
Che cos’è la trance agonistica?
Lo definirei uno stato in cui si viene completamente assorbiti da ciò che si fa.
Ho la fortuna di sperimentare questo stato abbastanza frequentemente, grazie al gioco del calcio, al quale mi dedico da quasi sempre, ad un livello semi-amatoriale. Durante i particolari attimi che contraddistinguono la trance agonistica, di solito sperimento un livello di attenzione molto particolare, che non riesco facilmente a descrivere. Il rapporto con lo spazio e con il tempo cambia, e non solo mi capita di “fare” le migliori scelte possibili, ma a queste vengono anche associati i migliori gesti atletici a me concessi.
La mia “presenza”, nell’azione che compio, è sfumata, in un certo senso sono io che sto facendo ciò che sto facendo, ma non sono la stessa persona che quel mattino si è alzata, ha preso il caffè, poi ha fatto le cose che ha fatto. La mia storia passa in secondo piano, così anche in un certo senso la mia individualità, e “divento” ciò che faccio. Il tutto è accompagnato dalla sicurezza che ciò che sto facendo andrà a buon fine (anche quando i fatti dispongono altrimenti).
Però, durante questo particolare stato di coinvolgimento, non appena inizio a pensare razionalmente a ciò che sto facendo, o sorge qualche dubbio in proposito, l’incantesimo – chiamiamolo così – scompare. Per poi tornare quando nuovamente l’azione assorbe la presenza.
Una cosa curiosa è che quando cerco di richiamare alla memoria un episodio di trance agonistica, non ricordo molto. Talvolta mi immagino visto dal di fuori, in terza persona; oppure, quando i ricordi sono in prima persona, sono ricchi di dettagli dell’ambiente e di “immagini istantanee” che riguardano ciò che era attorno a me in quel momento o ciò che scorgevo con lo sguardo o la coda dell’occhio.
Chiaramente perché questa condizione si presenti ci vuole un minimo di cosiddetta tecnica, cioè una certa conoscenza di ciò che si sta facendo, ma al tempo stesso durante questa sorta di trance la tecnica non è al primo posto. È indispensabile ma non è la cosa più importante. Altrimenti, sarebbe appannaggio solo dei professionisti : )
Ovviamente questo stato non riguarda solo gli sportivi ma probabilmente ogni ambito dell’espressione di sé, e c’è in merito chi parla di zona o di flusso. Si incontrano questi termini nel mondo dell’arte, della danza, del teatro, ma anche in ambiti lavorativi che definiremmo più ordinari.(¹)
E veniamo a noi.
Spesso chi parla di consapevolezza corporea parla del corpo nello stesso modo in cui un musicista può parlare del suo strumento, o un calciatore del tocco di palla… Cioè “tecnica”.
A me sembra una gran bella cosa poter notare, ad esempio mentre si cammina, il modo in cui le forze si trasmettono e distribuiscono lungo lo scheletro e il sistema muscolare; probabilmente è meglio di ignorare di essere un corpo(²). Ma questa è, per tornare alla analogia di prima, conoscenza tecnica, performance. Utile e necessaria, ma c’è di più.
Dopo aver sorvolato su questo particolare argomento posso tornare ai temi propri del sito, legati alla consapevolezza dei processi psicomotori, con qualche domanda in più di prima.
Usando una terminologia nota a chi conosce il Metodo Feldenkrais, potrei dire che durante lo stato di flusso “diventiamo” la funzione che stiamo svolgendo(³).
E allora è possibile diventare la camminata così come ogni tanto, nei campi da calcio e calcetto, divento il “giocare a calcio”, divento il passaggio che faccio, o il dribbling, o il tiro?
E quindi che sarà mai la consapevolezza corporea?
PS. Una mia interpretazione dell’immagine: 4 luglio 2006, Fabio Grosso, che nella stagione calcistica 2005-2006 aveva realizzato zero reti indossando la casacca del Palermo, si trova a realizzare forse la rete più importante e discussa di tutta la sua carriera, in semifinale contro la Germania. Al minuto 118 gli viene servito un perfetto assist da Pirlo, e Grosso tira di prima intenzione senza esitare. Una volta che la palla entra in rete corre in lacrime scuotendo il dito come per dire “no”. Il labiale sembra dire “non ci credo”. Probabilmente si sta “svegliando” rispetto al gesto atletico appena compiuto, in uno stato tra l’incredulo e l’euforico.
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(1) Conosco persone che lavorano nell’informatica e mi riferiscono la loro esperienza che mi sembra del tutto assimilabile a questa idea di “flusso”. Anche a me succede molto spesso nel lavoro di Integrazione Funzionale.
(2) …o “avere un corpo”. O “vivere in un corpo”. O “vivere il corpo”… ognuno scelga l’espressione che preferisce.
(3) E che cos’è l’integrazione funzionale se non il mettere in accordo l’intero sé per fare qualcosa?