Le asimmetrie più comuni


In queste pagine, e nei miei pensieri, ritorna spesso il tema delle asimmetrie. Ritorna anche in studio perché con chiunque incontri ragiono a voce alta su come le forze si trasmettono nel suo sistema muscolo-scheletrico e possono procurare delle zone di maggiore sofferenza.
E chissà quanti con me si sono chiesti: esistono delle asimmetrie comuni? È possibile comprenderle in relazione tra loro?
E soprattutto: quando sono queste ad essere le responsabili dei nostri dolori cronici?

Perché sviluppiamo asimmetrie

La nostra esistenza e il nostro apprendimento sono basati su preferenze di lateralità e tutte le attività che ci impegnano sono condizionate dallo sviluppo di una preferenza.
Sarebbe superficiale pensare che esprimiamo preferenze di lateralità solo nel modo in cui usiamo una mano per scrivere o per lavarci i denti, o un piede per calciare un pallone o spiccare un salto.
Già queste sono preferenze di per sé sufficienti per cambiare il modo in cui tutta la nostra struttura si organizza intorno ai gesti che facciamo più spesso, ma c’è molto di più:

– nella funzione della vista preferiamo un occhio, che infatti è denominato occhio dominante.
– nella masticazione preferiamo un lato per sminuzzare il cibo
– dato che usiamo più spesso un braccio, il rispettivo lato del torace si organizza in modo da sostenerlo comodamente.
– anche l’attività della respirazione ha preferenze di lateralità.

E potremmo andare avanti con qualsiasi attività che ci viene in mente:
Nei nostri primi mesi di vita, iniziamo a rotolare preferibilmente verso un lato, e solo dopo un po’ prendiamo dimestichezza con l’altro. Inizialmente portiamo alla bocca solo un piedino, e dopo un po’ proviamo a copiare l’attività dall’altra parte.
Abbiamo fatto in questo modo ogni piccolo passo del nostro sviluppo neuro-motorio.

La funzione modifica la struttura

Prima di andare avanti teniamo a mente che il dr. Moshe Feldenkrais per primo ha parlato del fatto che la nostra struttura viene modificata dall’utilizzo che facciamo di noi stessi.
Quindi, ad esempio, se io mi abituo a portare avanti sempre e solo lo stesso braccio tutto il mio corpo si organizza in un atteggiamento posturale che predilige questa configurazione, e col passare degli anni le ossa vengono fissate nelle posizioni più abitudinarie tramite l’indurimento (quasi una cristallizzazione) dei tessuti molli. Per cui ci può essere una leggera flessione laterale della cassa toracica, la torsione di alcune vertebre rispetto ad altre, e questa organizzazione comporterebbe una distribuzione del peso verso i piedi non neutra, e ce la porteremmo con noi 24 ore al giorno perché ormai è stata fissata in profondità.

Le asimmetrie comuni

Per provare a rendere il più semplice possibile questo argomento vorrei indicare come lo sviluppo delle preferenze di lateralità porti a fissare uno schema posturale ricorrente, che è individuabile in alcuni atteggiamenti posturali facili da riconoscere da chiunque. Ecco alcune delle asimmetrie più comuni:

Basta sdraiarsi sulla schiena due minuti:

  1. I piedi sono organizzati in modo che uno sia più verticale dell’altro, e che l’altro quindi abbia l’esterno più vicino al pavimento.
  2. Un lato del bacino è più vicino al soffitto dell’altro.
  3. Le costole frontali inferiori da un lato sono più schiacciate e dall’altro più espanse
  4. Una scapola è più lontana dalla colonna dell’altra

Da in piedi, inoltre, per molte persone:

  1. Un piede ha una maggiore tendenza ad appiattirsi sul pavimento rispetto all’altro.
  2. Quello meno piatto, probabilmente anche da in piedi è leggermente più aperto dell’altro, e rimane così anche mentre si cammina…

Questi sono elementi piuttosto evidenti che portano successivamente ad individuarne altri più dettagliati, ad esempio nei riguardi di come le ossa tra loro sono in torsione. (¹)
Queste asimmetrie benché piuttosto comuni, ovviamente non valgono per tutti.

Asimmetrie funzionali, non strutturali

Chi si riconosce in uno schema di questo tipo in un primo momento può essere portato a pensare di essere “storto”, o di avere alcune parti che si comportano peggio di altre.
Non è così a mio avviso, è più utile pensare che le parti sono poco integrate, e che ogni lato del corpo si è specializzato in una attività e non riesce a passare all’attività antagonista.

Ad esempio le nostre gambe solitamente sviluppano preferenze su quale sia il lato che sostiene meglio il peso del corpo e quale quello più abile a generare propulsione nella camminata. Esprimono questa differenza nel modo in cui i piedi sono organizzati: per sostenerci c’è bisogno di un arco plantare più pronunciato, e di maggiore contatto con il tallone sul pavimento. Invece per spingerci in avanti l’arco si appiattisce un pochino e il pavimento viene maggiormente premuto con la parte del piede in prossimità dell’alluce, generando una spinta a spirale verso la parte alta del corpo.
Chi riconosce di avere un piede più piatto dell’altro semplicemente osserva la manifestazione di queste differenze funzionali. Quindi invece di attribuire un’etichetta a ciò che vediamo, e definire il piede piatto o appiattito, possiamo chiederci: cosa sta facendo quel piede? Il piede piatto non smette mai di spingere, anche quando inizia il passo atterrando, non conosce alternative. L’altro piede ad ogni passo è un maestro ad atterrare ma è più carente nella spinta. Ogni lato potrebbe imparare qualcosa dall’altro.

Cosa fare?

È allora normale avere preferenze e asimmetrie, e osservarle nella nostra postura, il problema è quando queste ci limitano in maniera eccessiva imprigionando parti del nostro corpo costantemente nella stessa attività, che può diventare dolorosa.
E così, ad esempio, se sopraggiunge un dolore cronico in qualche parte del corpo, è opportuno che ci interroghiamo su come si distribuiscono le forze lungo il nostro scheletro. È bene che i piccoli o grandi dolori che a volte sopraggiungono ci facciano mettere in discussione l’organizzazione generale del nostro sistema muscolo-scheletrico.

Il problema di queste asimmetrie non è quindi la loro esistenza, perché tutti noi ci aspettiamo di averne. Il problema semmai è quando sono troppo marcate, perché a mio avviso conducono a rigidità e fastidi.

Non sempre gli esercizi posturali per migliorare questi atteggiamenti danno risultati sperati – per quanto sia meglio fare esercizi che non fare nulla – perché c’è in gioco molto di più di una meccanica scheletrica: c’è un atteggiamento mantenuto dal sistema nervoso e una scarsa immagine di sé rispetto a come le cose potrebbero andare diversamente e a cosa si può imparare per acquisire un’immagine più ricca e integrata. Come rieducare la postura e i movimenti di base come il camminare?

L’Integrazione Funzionale (non a caso si chiama così) e la Consapevolezza Attraverso il Movimento, mediante lezioni mirate rendono chi pratica il Metodo Feldenkrais una persona più consapevole dei propri schemi motori e delle proprie preferenze, e permettono di appianare le grandi differenze interiori, le grandi incomunicabilità tra i nostri due lati, per ritrovare varietà nel movimento e per creare dei cambiamenti nella disposizione dello scheletro fino in profondità.

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  1. Da sempre mi interrogo su come si organizzino a cascata queste asimmetrie, e grazie alle ricerche del dott. Ron Hruska, un fisioterapista del Nebraska che qui segnalo con gratitudine, mi è stato possibile collegarne tante tra loro.

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